Roasio S. Eusebio, estate 1973 – primo corso (poi trasferito a Trivero). Non mi sentivo – anzi, non ero, all’altezza della situazione, dinnanzi a un allievo di quella categoria. Certamente potevo istruirlo a dovere nelle cose della musica e della chitarra – e lo feci – ma ero ben lungi dal saper rappresentare ai suoi occhi quel modello di equilibrio, di saggezza e di pazienza del quale egli abbisognava. Ero invece emotivamente instabile, soggetto a crisi semidepressive alternate a momenti di euforia stravagante, spesso in preda a strane “visioni” (ritrovavo oggetti smarriti altrui in luoghi impensabili). Con il tempo – e con molta sofferenza e fatica – diventai – credo – un maestro affidabile, non solo perché sapevo la musica (davvero, e gli allievi se ne accorgevano fin dalla prima lezione), ma perché ero in grado di rimanere stabile e tranquillo anche nelle situazioni più complicate. Marco de Santi, del resto, non era un allievo-modello, e non me le mandava a dire. Il vocabolario in uso non era immacolato… Trovavamo però dei punti di equilibrio perfetto nel far musica – Iddio ci perdoni, però, per le nostre improvvisazioni a due in chiesa durante la Santa Messa (se non ci incenerì, fu perché la Sua misericordia è davvero infinita), e – non so chi ci debba perdonare – se ben ricordo finimmo pure per suonare in un ristorante triverese, mentre gli avventori mangiavano. Dalla fotografia qui pubblicata si arguisce facilmente quale poteva essere la situazione. Si noti che, mentre l’allievo osserva una corretta impostazione, il maestro non esita ad appoggiare il mignolo della mano destra sulla tavola dello strumento, come ai tempi di Carulli…