Oscar Bellomo scrive: La scoperta di questo quadro di Carlo Labriola, pittore napoletano vivente verso la fine degli anni ’80 ed ora pressoché dimenticato, risale a qualche settimana fa. Si trovava in Svizzera, il mercante d’ arte lo esponeva come il “povero Cristo inchiodato” di pasoliniana memoria, e la mattina successiva la “Triplice Alleanza” avviava le operazioni di recupero. L’ aiuto più che prezioso di Angelo Gilardino e Kevin Swierkosz-Lenart mi ha consentito di aggiungere questo “Aspetto di marina” (1969) – così lo titolava Labriola – alla mia piccola collezione di ‘900 napoletano…a loro va la mia gratitudine.Commenti
Angelo Gilardino: Carlo Labriola è una figura del tutto ignota nel panorama del Novecento napoletano, nel quale peraltro campeggiano artisti di caratura ben inferiore alla sua. Io ne venni a conoscenza per puro caso, nel corso di una visita che resi al pittore e professore di disegno Sabatino Palma a Sant’Agata dei Goti, accompagnato in auto da due allievi che purtroppo Iddio ha chiamato a sé troppo presto: Luigi Fricchione e Angelo Pugliese. Palma era una sorta di anima culturale della splendida borgata beneventana, e in casa sua, oltre ai suoi notevoli lavori, vidi un dipinto che mi colpì all’istante per la sua costruzione cezanniana e per la delicatezza dell’impronta tonale. Palma – su ogni altro tema facondo – mi disse brevemente dell’autore, Carlo Labriola (cognome facile da ricordare, perché illustre in quel di Napoli). Capii che non era il caso d’insistere ma, tornato a Vercelli da Lagonegro (correva, credo, l’estate del 1987), cercai il nome del pittore sulla guida telefonica e, trovatolo, chiamai. Mi rispose un uomo dalla voce che tradiva stanchezza e delusione: “Io non dipingo più da anni”, mi disse, e fu chiaro che a farlo smettere non era stata una crisi artistica, ma la vita. Fui risoluto, anzi, duro: “Senta, maestro”, gli dissi “Io non so perché lei abbia smesso di dipingere e non le chiedo di raccontarmelo, ma una cosa esigo da lei: un suo quadro di quelli che meglio la rappresentano. Se non ce l’ha, mi aiuti a trovarlo.” Rimase in silenzio per un po’ e poi mi disse: “Ne ho uno soltanto, quello che considero la mia opera migliore. Lo vuole proprio?”. “Sì, lo voglio. Se occorre, prendo l’aereo e vengo a Napoli a prelevarlo di persona”. Mi chiese una cifra ridicola. Una settimana più tardi, il quadro era in casa mia. Tornato a Lagonegro, l’estate successiva, ne mostrai la fotografia al professor Testa, proprietario dell’albergo San Nicola, dove alloggiavo, e collezionista appassionato. Lo volle a ogni costo: gli ero obbligato per le infinite cortesie che mi usava mentre ero ospite nel suo hotel. Là ancora dovrebbe trovarsi – in casa degli eredi del compianto dottor Salvatore Testa. A Napoli, in tempi più recenti, ho svolto ricerche per sapere qualcosa di Carlo Labriola, ma nemmeno una delle maggiori studiose di arte ha mai udito o letto di lui: un fantasma. Tre anni fa, l’avvocato Rosario Abate di Aversa, amico carissimo e padre della giovane chitarrista Adele, è riuscito a rintracciare ben tre dipinti di Labriola nella pinacoteca della pro loco di Sant’Agata dei Goti. Onore al merito di chi li ha custoditi ed esposti, ma nemmeno lì nessuno sa nulla dell’autore. Mi sembra improbabile che sia passato senza lasciare traccia di sè. Amici di Napoli, suona qualche campanellino nella vostra memoria, al leggere queste righe?
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