Intervista su MusicaProgetto a cura di Adriana Benignetti
1) Il 3 giugno del 1987 moriva a Madrid Andrés Segovia: sono passati 25 anni da allora, ma nulla sembra aver scalfito la sua memoria …
Segovia è mancato al mondo nell’epoca in cui l’informazione mutava e moltiplicava i suoi poteri. Questa trasformazione non ha per nulla affievolito la potenza dei vecchi miti. E Segovia era un personaggio-mito. Se la sua memoria fosse stata affidata soltanto alla carta stampata, di certo non sarebbe scomparsa, ma sarebbe rimasta circoscritta in alcuni degli ambiti in cui si era affermata la sua arte. Invece, si è moltiplicata.
2) Come nasce l’idea di scrivere una biografia su di lui? *
Avendo letto le biografie già esistenti, e la sua stessa, parziale autobiografia, mi è parso che, nell’abbondanza di notizie, mancasse una struttura, un profilo: dati e aneddoti, lodi e apologie, nient’altro. Inoltre, mi infastidivano le chiacchiere senza fondamento che circolavano, e seguitano a circolare, su di lui. Ho pensato che una biografia snella, che sviluppasse anche una linea interpretativa dell’artista e del personaggio, potesse risultare utile a tutti coloro che volevano sapere chi era Segovia e che cosa realmente ha fatto.
3) Dal 1997 al 2005 lei è stato Direttore Artistico della Fondazione di Linares: come ricorda quell’esperienza e perché si è conclusa?
La mia direzione artistica si è attuata quasi soltanto nel recupero delle musiche del repertorio-ombra nato grazie a Segovia, ma da lui tralasciato. Egli poté suonare soltanto una parte delle musiche scritte per lui da numerosi compositori. Molte altre giacevano tra le sue carte, e si riteneva – anche in seguito ad alcune sue dichiarazioni – che i loro manoscritti unici fossero andati perduti. Invece Segovia li aveva conservati, e lasciò la disposizione di renderli disponibili all’inizio del nuovo secolo. Chiamato dai suoi eredi, io mi sono occupato del recupero, dello studio e della pubblicazione di queste musiche. A tal fine, un editore italiano, Bèrben, ha creato una collezione intitolata “The Andrés Segovia Archive”, nella quale sono stati pubblicati 32 volumi. Il repertorio chitarristico del Novecento ne è uscito molto più ricco e articolato di quanto non fosse prima. Terminato il recupero delle musiche, non avevo alcun motivo per mantenere una carica in un’istituzione ad alta conflittualità, e ho dato le dimissioni. Del resto, a Linares, sede della Fondazione Segovia, io ci sono andato pochissimo: quando suggerii agli amministratori di comperare un clavicembalo, mi guardarono con sospetto …
4) Il Novecento è stato l’“età aurea” della chitarra, ma oggi lo strumento latita nei cartelloni delle Associazioni Musicali: colpa dei Direttori Artistici o dei chitarristi?
Di entrambe le categorie. I Direttori Artistici sono in genere ignoranti nei riguardi della chitarra, della sua letteratura e della sua poetica, e i chitarristi, con la loro pochezza, danno loro buoni pretesti per tener lontana la chitarra dalle sale in cui suonava Segovia.
5) C’è qualcuno tra i chitarristi della nuova generazione che apprezza particolarmente?
Si, certo, ci sono alcuni giovani musicisti di grande valore che, essendosi dedicati alla chitarra, hanno raggiunto un grado di altezza interpretativa paragonabile a quello dei migliori pianisti. Disgraziatamente, in mancanza di un filtro selettivo capace di apprezzare la loro arte, sono costretti ad arrancare in mezzo a una pletora di badilanti che si agitano con frenesia: i sedicenti eredi di Segovia sono centinaia, e i pochi degni di tale considerazione rischiano l’asfissia perché i Direttori Artistici si danno un sacco di arie, e un modo caratteristico di darsi delle arie è quello di escludere i chitarristi dalle programmazioni senza distinguere l’autentico dal fasullo, l’eccellenza dalla mediocrità.
6) Quando si è avvicinato alla musica lei ha studiato contemporaneamente chitarra e violoncello: come mai ha, poi, optato per la chitarra?
Perché la chitarra – mondo inesplorato – mi attraeva di più. Il violoncello era una delle cattedrali del mondo della musica, e non aveva certo bisogno di me. La chitarra, nonostante Segovia, era una sorta di caravanserraglio dove i tipi come me, che amavano non soltanto l’artigianato strumentale, ma anche gli studi, potevano risultare molto più utili.
7) Nel 1981 ha deciso di ritirarsi dall’attività concertistica, a soli 40 anni, per dedicarsi alla composizione, all’insegnamento e alla ricerca. Perché una scelta così drastica?
Io sono stato chitarrista – fatte le debite proporzioni – come Falla, Bartok, Shostakovich e Castelnuovo-Tedesco furono pianisti. La chitarra è stata il mio strumento, e potevo dare concerti senza problemi, ma non era quella la mia corsia. Io ero un compositore che – attraverso lo strumentismo – si preparava a scrivere della musica chitarrocentrica. Ho resistito fino ai 40 anni, perché avevo in atto una ricerca da sviluppare nello specifico linguaggio della chitarra, poi ho voltato pagina e ho cominciato a fare sul serio il mio vero mestiere.
8) Grazie a Lei il repertorio chitarristico si è arricchito notevolmente: centinaia sono le composizioni che autori di tutto il mondo hanno scritto appositamente per lei; fondamentali sono le opere che lei stesso ha scritto per lo strumento e un tesoro inestimabile sono i manoscritti originali di opere mai eseguite da lei ritrovati. Le ha dato maggiori soddisfazioni l’essere chitarrista, compositore o musicologo?
Domanda vertiginosa. Non riesco a immaginarmi inattivo in una delle aree che Lei ha individuato. Mentre, negli anni Settanta, suonavo la musica altrui, avvertivo l’urgenza di scrivere la mia. Da quando incominciai a farlo, crebbe in me l’esigenza di portare alla luce la musica altrui, già esistente e sepolta – talvolta a rischio di perdizione. Non avrei potuto fare una cosa senza fare anche le altre. Vede, io sono una persona che non conosce le mezze misure: la mia vita è stata spesa interamente per fare qualcosa che mi sembrava indispensabile fare, e l’idea di risparmiarmi, di tirarmi indietro anche solo di un passo, mi è sempre parsa una sorta di crimine. Non ho avuto altra soddisfazione che quella di poter dire, in parecchi momenti: missione compiuta.
9) C’è qualche musicista che più di altri ha influito sulla sua scrittura musicale?
Direttamente, Giuseppe Rosetta, l’organista che mi insegnò il contrappunto. Non ho scritto nulla che assomigli alla sua musica, ma da lui ho imparato la parte artigianale del mestiere. Per il resto, ho fatto da me, studiando le partiture: ho letto molto i maestri italiani della Generazione dell’Ottanta, e anche Ghedini. Ho letto e ascoltato Prokof’ev, Bartok e Falla, e ho cercato di capire anche l’arte di Hindemith. Quelli sono stati i miei maestri, e credo che si noti nella musica che scrivo.
10) Se dovesse parlare della sua musica a chi non la conosce, come la descriverebbe?
Musica scritta per comunicare qualcosa di cui l’autore non è consapevole, ma che certamente esiste.
11) C’è una sua composizione alla quale è rimasto maggiormente legato?
No, ogni composizione è l’alchimia di un momento, o di un periodo. Non sono legato alle mie composizioni. Una volta pubblicate, non ci penso più.
12) Un ruolo centrale nella sua vita l’ha avuto l’insegnamento e non si contano le affermazioni dei suoi allievi in campo internazionale. Cosa significa per Lei insegnare?
Cercare di trasmettere, insieme all’istruzione, qualcosa che la trascende. Missione quasi completamente fallita. Però, indubbiamente, ho avuto il privilegio di insegnare a dei virtuosi che, pur senza capire quello che dicevo fuori dagli aspetti tecnici, hanno nutrito il sospetto che ci fosse dell’altro da capire.
13) Dal 2004 si è ritirato anche dall’insegnamento ufficiale nei Conservatori e nelle Accademie private e ha deciso di svolgere la sua attività didattica solo nell’ambito del corso internazionale di perfezionamento istituito dalla Città di Vercelli. A cosa è dovuta questa scelta?
Alla sfiducia nei confronti delle istituzioni. Non c’è nulla di più mortificante, per un musicista, che insegnare nella morsa delle costrizioni burocratiche.
14) In Italia, a differenza di altri Paesi, c’è ancora molta distanza tra musicisti e musicologi, tra la musica eseguita e la ricerca sulla musica. Come mai? E come è riuscito lei a trovare un equilibrio?
Premesso che io non sono e non mi sento un musicologo, ma solo un musicista che ha lavorato anche nella ricerca, in veste di supplente, direi che il problema sta nella formazione. I musicisti illetterati – per non dire di peggio – e i musicologi che non sanno scrivere una successione di accordi sotto dettatura sono un retaggio dell’impostazione degli studi nel nostro Paese. Con il tempo, si sono formate e ispessite barriere, diffidenze, ostilità inutili. La scuola ha creato – o non ha saputo impedire che si creasse – il problema, la scuola dovrebbe risolverlo. Al riguardo, credo che le indicazioni più promettenti vengano dai giovani maestri di strumento che si iscrivono alla Scuola di Musicologia di Cremona.
* Angelo Gilardino ha appena pubblicato, per le Edizioni Curci, “AndrésSegovia. L’uomo, l’artista”, un’avvincente biografia del chitarrista più importante del Novecento.
Fonte | http://goo.gl/UZGyK