Da una lettera di Andrés Segovia a Mario Castelnuovo-Tedesco (4 febbraio 1952):
“Hai ragione di lamentarti per i pezzi che hai così generosamente scritto per me e che io non ho ancora avuto il tempo di lavorare. Ma questo ritardo non ha alcun rapporto con la mia volontà né con il grado di preferenza che essi mi ispirano.
Per darti la prova della veracità di quel che ti dico, ti citerò l’esempio della mia ultima tournée. Ebbene, senza contare altro che l’Europa, ti dirò che a partire dal mese di ottobre – il 7 – fino al 17 gennaio, data del mio recital a New York, ho dato 64 concerti. Non conto né quelli dei festival di Granada, Paris, Aix, Menton, né il concerto di Siena, né alcuni altri che ho dimenticato.
Questo eccesso di lavoro mi ha impedito di mettere a punto non soltanto i tuoi pezzi, ma molti altri che, se non amo quanto i tuoi – parlo sinceramente – apprezzo molto. Sono assai numerosi e provengono da compositori conosciuti e sconosciuti, a differenti livelli…”
Coloro che sostengono la tesi secondo cui esiste il repertorio convalidato da Segovia con le sue esecuzioni, e quello da lui negletto perché giudicato non valido (“gli scarti di Segovia”), trovano in questa lettera (e in altre) una diretta, frontale smentita. L’imminente pubblicazione (Edizioni Curci) delle lettere scritte da Andrés Segovia a Mario Castelnuovo-Tedesco (in un volume intitolato “Caro Mario”) farà luce su questo e su molti altri aspetti della sua vita, e renderà manifesto quello che egli realmente pensava dei suoi seguaci.
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