Non ho mai smesso di impegnarmi senza risparmio a favore della musica altrui: ci lavoro dal 1967, cioè da 52 anni. Non ho mai contato le composizioni dedicatemi da autori di ogni paese – persino dalla Nuova Zelanda: credo che siano centinaia, pubblicate nella collezione Bèrben-Gilardino (eccettuate le Variazioni di Respighi, che ritrovai nel 1993 e che furono pubblicate da Ricordi qualche anno più tardi). Quello fu il primo gradino della mia opera a beneficio del repertorio, e durò un quarto di secolo. Poi, a partire dal 2002, venne il gran cimento dell’archivio Segovia: ci diedi dentro per una decina d’anni, e ne vennero fuori 34 volumi di musiche, quasi tutte scritte nel periodo 1920-1960, e prima di me silenti.
Mi dissi che tutto ciò poteva bastare, e che, per “il nostro strumento”, mi ero speso al limite delle forze, non soltanto quelle mie, ma anche quelle elargitemi, direbbe Ezra Pound, “da non so quale Dio”. E invece no, non bastava. Credevo, con “Nonno Mario”, di aver pareggiato i conti curandomi della pubblicazione di parecchi suoi capolavori per e con chitarra nella collana Bèrben-Gilardino, ma dietro l’angolo mi aspettava un compito ancora più grande: la cura della collezione Castelnuovo-Tedesco creata da una sinergia tra Diana, la nipote del Maestro, e le Edizioni Curci. Altro che chitarra! Dodici volumi sono già stati pubblicati. E molti altri dovrò prepararne. A volte mi domando: e io? La risposta è nella duale alternanza della luce e della tenebra: di giorno lavoro per gli altri, di notte per me. Come diceva Segovia, per dormire avrò il tempo dell’eternità.
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