Mario Parodi: un romanzo non scritto

Chi fu Mario Parodi? Le pochissime fonti che ho trovato sono quelle delle note che illustrano i suoi dischi LP (gentilmente fornitemi da Giuseppe Idone) e, di riflesso, quella contenuta nella vasta Enciclopedia de la Guitarra di Francisco Herrera (Piles, Valencia, 2011) ma, si badi bene, solo nel Suplemento, perché, nella prima edizione in quattro volumi, l’unica voce dedicata al cognome Parodi riguarda sua figlia Silvia, nata nel 1950, e non lui. Herrera, inesauribile scrutinatore di migliaia di documenti e investigatore dalla pazienza biblica, si è dovuto arrendere, come me, alla penuria di informazioni, e in sostanza ha riportato la sintesi biografica pubblicata con i dischi LP: si procede quindi a tentoni, cercando di non farsi prendere la mano dall’immaginazione. Il cognome Parodi è ovviamente genovese – come dire Brambilla a Milano o Esposito a Napoli –, ma il futuro chitarrista non nacque nel capoluogo ligure, sibbene a Istanbul nel 1917. L’emigrazione italiana era allora condizionata dalla guerra, e comunque non era in Turchia che si andava a cercar lavoro e fortuna. Che cosa mai facevano i genitori Parodi a Costantinopoli? Quando – assai presto – il loro rampollo manifestò inclinazione per la musica, non ebbero difficoltà ad assecondarlo, mandandolo a studiare con quello che doveva essere un ottimo didatta: non erano quindi poveri immigrati, se potevano permettersi di tenere un pianoforte in casa e di retribuire un maestro. Facevano parte del corpo diplomatico italiano stanziato nella capitale turca? Non sembra irragionevole supporlo…

Accadde poi – secondo le voci circolanti – che il ragazzo virò verso la chitarra, avendo ascoltato un concerto di musiche argentine: notizia che mi sembra traballante, perché non vedo proprio uno studente del calibro Parodi junior, che già familiarizzava con la grande musica, sdilinquirsi per il tango al punto da lasciare Beethoven e Chopin per qualche macchia di chitarra in una danza che, allora, era bandita dalle corti europee e si ballava soprattutto nei bordelli. Dev’esserci stato qualche altro, ben più energico, strattone, a fargli cambiare strada. Un maestro di chitarra paragonabile a quello che guidava lo studente nel pianoforte, a Istanbul non esisteva. Sicché, tra i chitarristi che si sono definiti autodidatti, Parodi risulta essere uno dei più credibili. Agl’inizi, era evidentemente all’oscuro del repertorio originale per chitarra, e quindi si impegnò nel ricreare sullo strumento che l’aveva sedotto alcuni dei brani per pianoforte che dovevano far parte del suo repertorio, e lo fece con una competenza, un’originalità, un ingegno che non hanno uguali in quell’epoca: le sue trascrizioni sono stupefacenti, ricche, in molti punti persino idiomatiche, e del tutto indipendenti dalla corrente ispanica Llobet-Segovia-Pujol. Non so se siano databili, ma risultati del genere non si raggiungono se non si parte da livelli di eccellenza: quindi, se anche le avesse affinate nei decenni, quelle versioni dovevano essere molto speciali fin dalla loro concezione.

Le successive registrazioni dimostrano come egli non avesse quelle trascrizioni soltanto in mente, ma fosse capace di realizzarle grazie a una tecnica limpidissima, fondata su un concetto e un sentimento del suono che nessun altro chitarrista, a quell’epoca, fu capace di forgiare. Inutile domandarsi se l’avesse appresa, tutta o in parte, da qualcuno: chi, dove, quando? Secondo me, quella era farina del suo sacco – un sacco riempito dal buon Dio con una dotazione di talento e di intelligenza musicale che, ancora oggi, all’ascolto, lascia stupefatti.L’Argentina doveva essere comunque meta ideale della sua famiglia, che doveva avervi un qualche legame di parentela o di affinità, visto che di nome, oltre a Mario, egli faceva Gonzalo José: vien da pensare, sul filo del buon senso, che Parodi padre, genovese, avesse sposato un’argentina, e che, alla fine, fossero tornati tutti a Buenos Aires per stabilirvisi definitivamente.

Quale poteva essere il ruolo di siffatto artista nei circoli chitarristici bonoarensi? Basta leggere alcune pagine del Diccionario di Domingo Prat per rendersi conto di come, in quel convento, le cui regole erano dettate da un insieme di ottuso bigottismo e di bizzarra faziosità, un chitarrista di quella forza potesse trovare spazio solo se fosse stato calato dall’alto dal volere di una qualche potente agenzia di concerti: ma ciò era accaduto solo per Segovia, mentre, ad esempio, Mangoré era stato tritato dal padre della Anido in una recensione che oggi non si può leggere senza provare vergogna (per chi la scrisse). Mario Parodi ebbe quindi poca fortuna nel capoluogo argentino: trovò una qualche udienza solo in campo editoriale e, dalla seconda metà degli anni Cinquanta, registrò per Angel Records quei quattro LP in cui consiste il suo lascito di interprete. In compenso – c’informa la scheda biografica di Herrera ¬– a Buenos Aires egli incontrò la sposa ideale, divenne padre della futura chitarrista Silvia, e visse anni felici: pochi, purtroppo, perché si spense a soli 53 anni a causa di un tumore. Testimonianze verbali riferiscono di un duro confronto tra Parodi e Jorge Martínez Zarate, figura centrale nella comunità chitarristica bonoarense. Nessuno, a quanto è dato sapere fin qui, comprese quanto il maestro di origine italiana fosse superiore, non soltanto ai chitarristi argentini di allora, ma – lo dico senza remore – a tutti gli altri della sua generazione, di qualunque nazionalità. Invece di ottenere giusto riconoscimento, il suo valore fu motivo di esclusione: egli visse quindi una vita difficile. La descrizione sintetica a mio giudizio più convincente del singolare personaggio è quella che ne dà il musicologo argentino Fabio Caputo nel presentare uno degli LP pubblicati agl’inizi degli anni Sessanta. Inasible. Multifacético en vida y en muerte, Mario Parodi es un personaje difícil, sino imposible, de encasillar. Hijo de padres italianos, turco de nacimiento, argentino por adopción, pianista incipiente, guitarrista autodidacta y extraordinario, muerte temprana, un largo camino recorrido y una vida rodeada de un halo de misterio. El personaje perfecto para una novela. El acercamiento a su figura depende de la edad de cada cual. Los mayores, tanto los que lo conocieron personalmente como aquellos que sintieron mencionar su nombre, lo recuerdan como una figura de leyenda y conservan un cierto temor reverencial a sus obras y transcripciones, muy difíciles de tocar, las que el maestro abordaba con aplomo gracias a una técnica personal y prodigiosa, que no creó una escuela, salvo por los conocimientos transmitidos a su hija, Silvia. Para los jóvenes, en cambio, es una figura olvidada…[Inafferrabile. Sfaccettato in vita e morte, Mario Parodi è un personaggio difficile, anzi impossibile, da incasellare. Figlio di genitori italiani, turco di nascita, argentino di adozione, inizialmente pianista, chitarrista autodidatta e straordinario, morte precoce, un lungo cammino percorso e una vita circondata da un alone di mistero. Il personaggio perfetto per un romanzo. L’accostamento alla sua figura dipende dall’età di ciascuno. Gli anziani, tanto coloro che lo conobbero personalmente come quelli che udirono menzionare il suo nome, lo ricordano come una figura leggendaria e mantengono un certo timore reverenziale nei riguardi delle sue opere e delle sue trascrizioni, molto difficili da suonare, che il maestro affrontava con disinvoltura grazie a una prodigiosa tecnica personale non affidata a una scuola – salvo le conoscenze trasmesse a sua figlia Silvia. Per i giovani, invece, è una figura dimenticata…]Mi rammarico di non poter scrivere il romanzo auspicato da Caputo: me ne mancano i materiali e il tempo, ma voglio che rimanga la mia testimonianza a favore di un chitarrista grande e non baciato dalla fortuna.

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